Aldair gfxGoal/Getty Images

"Pluto" Aldair, una carriera da big passata lontano dai riflettori

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È difficile riassumere in poche parole un Paese magnifico e complesso come il Brasile. Una nazione che fa del sorriso il suo biglietto da visita principale, ma che nasconde un animo malinconico e riflessivo. In questo senso, il calciatore che ha saputo sintetizzare meglio le mille sfaccettature della sua terra d’origine risponde al nome di Aldair Nascimiento dos Santos. Per tutti più semplicemente Aldair. O “Pluto”, poi vedremo perché.

Un calciatore possente ma in grado di spiccare il volo di testa. Lento ma elegante come un Forrò, ballo tipico del nord brasiliano. Sorridente ma con un velo di nostalgia a offuscargli il volto. La stessa nostalgia che proprio all’inizio della sua carriera ha rischiato di tarpargli definitivamente le ali.

A 16 anni Aldair viene selezionato dal Vasco da Gama per un provino nelle giovanili del club. Il ragazzino accetta il trasferimento a Rio, ma la saudade di casa è troppo forte e il suo potenziale in bianconero resta pressoché inespresso. Alla fine del periodo di prova viene scartato, non ritenuto ancora pronto tanto per la dimensione del club quanto per quella della megalopoli.

Sembra chiudersi senza nemmeno essere mai veramente cominciata la storia calcistica di quello che diventerà uno dei migliori e più vincenti difensori della nazionale brasiliana. Per qualche tempo Aldair la smette con il calcio e torna nella sua cittadina natale dalla sua numerosissima famiglia. 

Il richiamo della bola però è troppo forte. Nel 1985 a bussare alla porta di casa Nascimiento do Santos è il Flamengo, che tra 15 fratelli a disposizione sceglie proprio il giovane Aldair. Dopo una fisiologica fase di ambientamento, si ritaglia la possibilità di strappare una maglia da titolare. 

In rossonero cresce sotto l’ala protettiva di Leandro, suo compagno di reparto e leggenda della retroguardia del Mengão. E insieme a lui vincerà anche il suo unico campionato brasiliano all’esordio tra i professionisti. Una capacità, quella di portare a casa titoli al primo anno in una nuova realtà, che contraddistingue tutta la sua carriera.

Aldair diventa in breve tempo uno dei nuovi talenti brasiliani emergenti e inizia a far drizzare le antenne di vari direttori sportivi. A favorire il suo grande salto verso l’Europa è il Benfica, squadra che ancora oggi ha qualcosa da insegnare al resto del mondo per quanto riguarda l’individuazione di talenti purissimi.

L’unico anno con le aquile lusitane gli permette di vincere una Supercoppa portoghese e sfiorare la Champions League, persa in finale contro il Milan. Ma soprattutto contribuisce a farlo diventare uno dei più sopraffini interpreti nel ruolo di difensore centrale negli anni a venire.

Di lui iniziano a parlare con insistenza anche in Italia, dove raccoglie diversi estimatori colpiti dal senso dell’anticipo e dall’eleganza in impostazione di gioco. Ma anche e forse soprattutto dalle sue doti di leader silenzioso, poco amante dei riflettori. Non per questo però latente in carisma e influenza sui compagni di squadra e reparto.

In contemporanea arrivano le prime convocazioni con il Brasile e l’inserimento nella lista per la Copa America 1989. Partito come riserva, Aldair scala rapidamente le gerarchie, diventa titolare inamovibile dei verdeoro e da esordiente vince anche il primo trofeo continentale con la sua nazionale.

Aldair BrasileGetty Images

Nel 1990, negli ultimi mesi di presidenza di Dino Viola prima della sua scomparsa, la Roma se lo aggiudica staccando un assegno da 6 miliardi di lire destinato alle casse del Benfica. In giallorosso vince subito la Coppa Italia, continuando la tradizione favorevole che lo vede sollevare un trofeo a ogni esordio in una nuova squadra.

Aldair resta ben 13 anni alla Roma, dove trova la sua dimensione perfetta e si impone come uno tra i migliori difensori della sua generazione. Dopo essere diventato capitano, sarà proprio lui a capire prima di tutti che tra i suoi compagni di squadra ce n’è uno - poco più che ventenne - destinato a diventare il miglior calciatore della storia della Roma: Francesco Totti.

La fascia passa quindi dal suo braccio a quello del numero 10. Un gesto che sancisce una volta per tutte il legame indissolubile tra Aldair e il club di Trigoria, che lo ha inserito nella sua Hall of Fame. Il brasiliano diventa "Pluto" per i tifosi romanisti, che vedono in lui una forte somiglianza con il cane migliore amico di Topolino.

Tra alti e bassi che caratterizzano l’intero decennio giallorosso, il brasiliano accumula titoli in Nazionale: al Mondiale del 1994 (con bis sfiorato 4 anni dopo), si aggiungono anche la seconda Copa America della sua carriera e il trionfo nella prima edizione in assoluto della Confederations Cup.

È in giallorosso che mancano i trofei e questo rischia di allontanarlo dalla Roma. Nell’estate del 1999, Aldair viene tentato dalle sirene dell’Inter, che riesce a far firmare un pre-contratto al brasiliano. L’intervento del presidente romanista Franco Sensi e l’arrivo nella capitale di Fabio Capello faranno cambiare idea ad Aldair. Una storia molto simile a quella capitata al compagno di squadra Vincent Candela.

Rimasto in giallorosso, si toglie la soddisfazione di vincere lo Scudetto con la Roma nel 2001. Ma di quel campionato dominato dalla squadra di Capello, per un maligno scherzo del destino il brasiliano sarà relegato a comparsa per via di una serie di guai fisici, tra cui la rottura del legamento crociato del ginocchio destro che gli fa saltare anche la gara decisiva contro il Parma all’Olimpico il 17 giugno.

Aldair RomaGetty Images

Aldair completa il ciclo di trofei del nostro calcio conquistando anche la Supercoppa Italiana, diventando il primo calciatore della storia della Roma a vincere tutte e tre le competizioni italiane. L’unico altro romanista a riuscirci sarà lo stesso Francesco Totti.

Ma l’episodio che probabilmente condensa i 13 anni di Aldair alla Roma avviene il 23 marzo del 2003. All’Olimpico arriva il Piacenza, che torna a casa con 3 gol da depositare nel cassetto dei ricordi. A risultato ormai acquisito, alla squadra di Capello viene assegnato un calcio di rigore.

L’intero stadio invoca il nome di Aldair, che si presenta sul dischetto nell’inedita veste di tira rigori. Il destro del brasiliano viene neutralizzato dal piacentino Orlandoni, che alla fine della gara lo abbraccia quasi dispiaciuto dall’aver rovinato un momento del genere.

L’esperienza romanista di Aldair termina due mesi più tardi. E la Roma in segno di eterna riconoscenza decide di ritirare la maglia numero 6. A portare nuovamente sulle spalle quel numero in giallorosso sarà Kevin Strootman. Malgrado le varie offerte ricevute, Pluto accetta quella per un anno del Genoa in Serie B. Meglio scendere di categoria che affrontare la sua Roma da avversario. Alla fine dell’unico anno tra i cadetti della sua carriera, si ritira dal calcio giocato.

Nel 2007 accetta l’offerta biennale del Murata, squadra di San Marino impegnata nei preliminari di Champions League. E a 41 anni la sua buona stella ancora splende, dato che riesce a vincere anche il campionato sammarinese al suo esordio alle pendici del Titano. 

Dopo il secondo e ultimo ritiro, Aldair ha salutato definitivamente il mondo del calcio. Ma della sua Roma continua a parlare con il suo italiano imperfetto, un luccichio negli occhi e quel sorriso appena accennato che ha contraddistinto la sua intera carriera.

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